domenica 11 aprile 2010

IL CLIENTE DEI CALL CENTER SPIATO DALLE COMPAGIE




Seat e Vodafone registrano le chiamate. Le aziende rassicurano: "Lo facciamo solo per migliorare la qualità del servizio". Il sindacato: "Una scelta che va contro lo statuto dei lavoratori e la tutela della privacy"


Non bastavano le telecamere piazzate un po' ovunque a mettere a rischio la privacy delle persone. Ora anche i principali call center si mettono a registrare le telefonate dei loro clienti. E si tratta di numeri che si usano ogni giorno, dal 190, il servizio della Vodafone, all'89.24.24 e al 12.40 della Seat, società che ha già schiacciato il tasto "Rec" per memorizzare e conservare le chiamate. Se altre compagnie telefoniche dovessero imboccare la stessa strada i contact center diventeranno delle mega centrali di ascolto, intercettando lavoratori e clienti. Già ora il bacino potenziale si aggirerebbe intorno ai 25 milioni di persone.

A sollevare la questione la Slc-Cgil di Torino che ha già scritto una lettera alla ProntoSeat per intimare lo stop alle registrazioni audio. Il tutto senza chiedere autorizzazioni e senza garantire l'anonimato a dipendenti e clienti. "Una scelta che va contro lo statuto dei lavoratori, perché si controlla a distanza l'attività degli operatori. In più abbiamo molti dubbi sul fronte della privacy", dice Tony Corona della Slc. Diverse le perplessità del sindacato di categoria. Perché si deve conservare un nastro o un file mp3 dove una persona qualunque, telefonando all'89.24.24 o al 12.40, chiede un numero di telefono di un altro, oppure l'indirizzo di un locale o di una via? "E perché, ad esempio, deve rimanere la traccia di un cliente che, per diverse ragioni, non è riuscito a pagare la bolletta del telefono, spiegandone magari le ragioni", aggiunge Renato Rabellino, funzionario della Slc-Cgil che ha ricevuto dalle aziende fornitrici di Vodafone, come la E-Care e la Comdata di Torino, la richiesta di registrare le telefonate al 190.

L'azienda da tutte le rassicurazioni del caso, dal taglio dei primi secondi della chiamata, che dovrebbe essere criptata, per evitare che si capisca il nome del cliente e del lavoratore, con tetti fissati: registrare il 25 per cento delle telefonate trimestrali, ascoltare il 6 per cento.

Il tutto avverrebbe a sorpresa per l'operatore e con un generico avviso, che si può già ascoltare digitando il 190 di Vodafone, per chi chiama. Obiettivo dell'azienda? Migliorare la qualità. "Non siamo convinti - sottolinea Rabellino - se è tutto anonimo come si fa ad intervenire sui lavoratori? Ci sarà sicuramente qualche sistema. E poi chi ascolta le telefonate? E per quanto tempo rimangono in memoria? E come si fa a garantire veramente che non si sia rintracciati? Una persona può ripetere il proprio cognome all'inizio o alla fine. Insomma, sono molte le questioni da chiarire e non riguardano solo i dipendenti". La E-Care, tramite Confindustria, si è rivolta anche al ministero del Lavoro, ponendo il caso e chiedendo se la registrazione e legittima o meno. E il ministero di Scajola ha dato via libera, a patto che si rispetti l'anonimato: "Siamo al paradosso - aggiunge Rabellino - un governo che ha fatto della battaglia alle intercettazioni una sua bandiera, ora acconsente a registrare le chiamate di milioni di italiani".

Il segretario generale nazionale della Slc-Cgil Emilio Miceli si vuole rivolgere al garante Francesco Pizzetti: "Questa non è materia che deve essere trattata solo dai sindacati - sottolinea - riguarda milioni di persone che non devono essere registrate per ragioni di marketing o di qualità. Meglio fermare la musica e investire della questione il garante della privacy. Autorità indipendente che può dire con chiarezza quali sono i limiti".

Fonte: Repubblica sez. Torino - 29 marzo 2010

sabato 10 aprile 2010

ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE



CHE COS'È

È una prestazione a sostegno delle famiglie con redditi inferiori a determinati limiti, stabiliti ogni anno dalla legge.

A CHI SPETTA

A tutti i lavoratori dipendenti, ai disoccupati, ai lavoratori in mobilità, ai cassintegrati, ai soci di cooperative, ai pensionati.
Spetta anche ai lavoratori parasubordinati, iscritti alla Gestione separata, che non sono assicurati anche con forme pensionistiche obbligatorie e non sono pensionati e pertanto pagano dal 1° gennaio 2009 l’aliquota contributiva del 25,72%. In tale aliquota è compresa la quota dello 0,72% che serve a finanziare il fondo per gli assegni per il nucleo familiare, per la maternità, e l'indennità di malattia.
Sono esclusi i lavoratori autonomi dell'agricoltura e i pensionati ex lavoratori autonomi, ai quali invece spetta il vecchio "assegno familiare".

PER QUALI PERSONE SPETTA

Per i componenti del nucleo familiare:
il richiedente
il coniuge non legalmente ed effettivamente separato
i figli (legittimi, legittimati, adottivi, affiliati, naturali, legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge, affidati a norma di legge) di età inferiore ai 18 anni
i figli maggiorenni inabili che si trovano, per difetto fisico o mentale, nella assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un lavoro
i nipoti, di età inferiore ai 18 anni, a carico di un ascendente diretto (nonno o nonna) che siano in stato di bisogno e siano mantenuti da uno dei nonni.


Possono far parte del nucleo familiare anche i fratelli, le sorelle ed i nipoti collaterali del richiedente (figli di fratelli e sorelle, minori di età o maggiorenni inabili, a condizione che non abbiano diritto alla pensione ai superstiti e che siano orfani di entrambi i genitori).

FAMIGLIE NUMEROSE

Per i nuclei familiari con almeno quattro figli (rientrano in tale tipologia i nuclei con figli di età inferiore ai 26 anni indipendentemente dal carico fiscale, dalla convivenza, dallo stato civile e dall’attività lavorativa) sono considerati per la determinazione dell’assegno, al pari dei figli minori, anche i figli di età compresa tra i 18 e i 21 anni, purché studenti o apprendisti.

IL REDDITO

Il reddito del nucleo familiare deve derivare, per almeno il 70%, da lavoro dipendente o da prestazione derivante da lavoro dipendente (pensione, indennità di disoccupazione, indennità di maternità, indennità di malattia ecc).

LA DOMANDA

La domanda di assegno per il nucleo familiare deve essere presentata al proprio datore di lavoro dai lavoratori dipendenti o direttamente agli uffici Inps in tutti gli altri casi (pensionato, disoccupato, lavoratori domestici, ecc.).

Le domande possono anche essere inviate per posta o presentate tramite i Patronati che, per legge, offrono assistenza gratuita.
I moduli sono disponibili presso gli uffici Inps e sul sito dell’Istituto www.inps.it, nella sezione "moduli".

Da ricordare

Ogni domanda per essere presa in esame deve contenere la documentazione indispensabile e le informazioni indicate nel modulo, come previsto dall’articolo 1, comma 783 della legge 296/06.

IL PAGAMENTO

Il pagamento può essere anticipato in busta paga dal datore di lavoro che è poi rimborsato dall’inps con il conguaglio dei contributi, oppure direttamente al lavoratore con bonifico bancario o postale, oppure allo sportello di un qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale.

Nel caso si desideri l’accredito su conto corrente bancario o postale si devono indicare anche i dati dell’ufficio pagatore presso cui si intende riscuotere la prestazione, nonché il codice IBAN.
Il pagamento degli arretrati spettanti si prescrive nel termine di 5 anni.

ASSEGNO AL CONIUGE

Il pagamento dell’assegno può essere effettuato direttamente al coniuge del lavoratore che ne ha diritto. Il coniuge, che non deve essere titolare di un autonomo diritto all’assegno, deve fare domanda al datore di lavoro del marito/moglie o all’Inps utilizzando i moduli disponibili presso gli uffici Inps o sul sito www.inps.it.

mercoledì 7 aprile 2010

DELOCALIZZARE I SERVIZI DI CALL CENTER?



Campagna nazionale contro le delocalizzazioni
nel settore delle TLC

Premessa

Il settore delle TLC continua a rappresentare nel Paese un settore ricco e non in particolare difficoltà, con margini di fatturato ampi (il primo semestre 2009 si è chiuso con una crescita del + 1%; dati Confindustria) e con una liquidità mediamente alta. Eppure come SLC-CGIL denunciamo oggi pubblicamente il comportamento delle grandi aziende (Telecom, Vodafone, Wind, H3G, Fastweb, BT Italia, SKY) in materia di esternalizzazioni e delocalizzazioni. Un comportamento sbagliato ed ingiusto, che recherà danni all’occupazione e – più in generale – alla qualità del settore.
In particolare, dopo una sommaria indagine e uno studio sui principali contratti commerciali in essere e in via di definizione, è evidente la scelta dei principali operatori (scelta inedita per quantità e qualità), di avviare nei prossimi mesi un processo massiccio di delocalizzazione di attività oggi lavorate in Italia. Una
delocalizzazione verso quei paesi (Tunisia, Albania, Romania in particolare) cui costo del lavoro è pari circa ad un quarto di quello italiano.

Inutile dire che tali lavoratori, in quei paesi, sono oggi privi di tutele collettive anche lontanamente paragonabili alle nostre, di un Contratto Collettivo Nazionale con minimi salariali dignitosi. E che in molti casi non vi sono quelle libertà sindacali minime come definite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).
Nello specifico, solo analizzando le politiche di delocalizzazione avviate dalle sette aziende sovra indicate, riteniamo siano a rischio nel breve periodo (anno 2010) circa tre/quattro mila posti di lavoro, con evidente sottrazione di volumi di attività all’intera filiera delle TLC.
Ed il tutto esclusivamente per aumentare gli attuali profitti a vantaggio degli azionisti, come risposta ad un calo dei guadagni, in un settore che genera comunque profitti e liquidità.
In particolare come SLC-CGIL denunciamo una politica non solo di esternalizzazioni di attività verso imprese di outsourcing italiane (Comdata, Almaviva, Teleperformance, E-Care, ecc.), ma - tramite subappalto delle stesse - verso aziende oggi operanti in Romania, Albania, Tunisia, Turchia, Sud America.
Una scelta questa sbagliata socialmente e industrialmente, in contraddizione con la produzione normativa dell’Autorita Garante per la Comunicazione (AGCOM) che, anche ultimamente, ha sottolineato l’esigenza di una maggiore trasparenza, una maggiore responsabilità delle imprese titolari di licenza, una maggiore attenzione alla qualità verso i consumatori (si veda per tutte la delibera n. 79/09).
Una scelta sbagliata socialmente in sé ma che si colloca oggi in un momento di difficoltà dell’economia nazionale con una delle più gravi crisi occupazionali degli ultimi decenni: il sistema delle imprese (soprattutto quelle che si basano su servizi avanzati, sulla capacità commerciale di fornire soluzioni
personalizzate, ecc.) dovrebbe salvaguardare i livelli occupazionali, eventualmente ripensando le politiche di esternalizzazione di volumi di attività, non certo incoraggiandole.
Una scelta sbagliata industrialmente, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni: le aziende oggi vanno delocalizzando la “gestione” dei clienti di fascia bassa e media, limitandosi alla gestione in house dei clienti top e a maggior capacità di spesa.
Poiché però il futuro del settore sarà sempre più dipendente dalla capacità di “alfabetizzare” all’uso delle tecnologie di comunicazione (sia fissa che mobile) fasce sempre più ampie della popolazione, con la trasformazione degli attuali terminali in veri e propri “portali” (per comunicare, fare impresa, qualificare il
tempo libero), rinunciare all’evoluzione dei consumatori medi in possibili “fruitori alti” di nuovi servizi e applicazioni, significa rinunciare alla crescita di nuovi e più avanzati modelli di consumo.
In Italia infatti occorre accompagnare un mercato ancora oggi ancorato sulla fonia, verso una maggiore capacità di utilizzo convergente degli apparati (dalla banda larga in mobilità, alla “casa e all’impresa digitale”, ecc.). Mettere “fuori” i clienti di fascia media (chiamati nei modi più diversi: 4 stelle, Silver, ecc.)
vuol dire ridursi i propri margini di crescita.
Soprattutto vuol dire una minore personalizzazione del servizio, una peggiore qualità nella gestione del contatto, una minore capacità di commercializzazione. Tutto questo con buona pace del cliente e delle sue prerogative.
Esternalizzazione di attività: una politica che è fallita.
Oggi la discussione nel settore dovrebbe essere indirizzata in senso contrario: la politica seguita in materia di esternalizzazioni è – piaccia o no – fallita.
E’ fallita la strategia di esternalizzare le attività in Telecom Italia (la madre di tutte le “esternalizzazioni”):
non vi è stata alcuna specializzazione produttiva, alcuna valorizzazione dell’occupazione ceduta. Non solo la qualità del servizio non è migliorata; non solo il rapporto costi/benefici si è dimostrato incongruente; non solo centinaia di cause legali hanno dimostrato anche la mancanza, in diversi casi, delle condizioni organizzative minime, ma le centinaia di posti di lavoro persi e la fragilità delle nuove imprese sono lì a dimostrare che il settore non è cresciuto andando in quella direzione.
E questo non riguarda solo Telecom: le difficoltà di aziende come Omnia, Agile, Phonemedia, Comdata, Almaviva e la stessa politica portata avanti da Teleperformance, E-care e Transcom (per non considerare la situazione delle imprese che operano negli appalti della rete) sono a dimostrare che la cessione di lavoratori ed attività (anche quando contrattata con buone clausole sociali e con buoni accordi) non risolve il problema di un settore che non ha ancora sviluppato una responsabilità sociale diffusa, una cultura della qualità e degli investimenti omogenea, una pratica relazione e sindacale in grado di tutelare l’intera filiera con regole uguali per tutti.
Lo scandalo delle imprese che riducono la forza lavoro ed intanto esternalizzano e delocalizzano.
Vi è poi uno “scandalo nello scandalo”. Da un lato assistiamo da parte di queste aziende (Telecom, H3G, BT) ad una politica di riduzione dei livelli occupazionali interni (tramite contratti di solidarietà, cassa integrazione, mobilità incentivata, ecc.) con forti sacrifici da parte dei lavoratori più sindacalizzati;
dall’altra vi è una politica di sistematica riduzione di attività fino ad oggi lavorate in casa (per esempio di Telecom) su cui potrebbero essere riconvertiti gli esuberi dichiarati.
Per di più secondo un modello che “stressa” le imprese di outsourcing con politiche sugli appalti basati al massimo ribasso, tanto da rendere difficile anche la stessa tenuta occupazionale negli outsourcing che sono - quindi - “invitati” a sub appaltare all’estero.

Insomma, siamo alle prese con una vera e propria strategia che rischia di:

a- ridurre le attività lavorate internamente dalle grandi aziende, riducendo i livelli occupazionali interni ed impedendo possibili riconversioni degli attuali occupati;

b- “stressare” con gare al massimo ribasso anche la parte finale della filiera, con outsourcing sempre più ridotti a divenire stazioni appaltanti di altre aziende (con fenomeni di sub appalto, che fanno perdere poi “le tracce” delle stesse attività di customer);

c- incentivare la delocalizzazione di attività a forte valore aggiunto, verso paesi dove le condizioni dei lavoratori sono drammatiche.

Il tutto per aumentare i margini di profitto, con grande danno verso tutti: i lavoratori dipendenti delle grandi aziende, i lavoratori degli outsourcing, i clienti finali (cui dati vengono lavorati presso aziende estere, con buona pace della qualità, della trasparenza, della tutela della privacy).
E questo in un momento di difficoltà del sistema paese, con centinaia di migliaia di disoccupati in più.

La nostre proposte

Per questo come SLC-CGIL ci mobiliteremo sia a livello di singola azienda (con comunicati e percorsi specifici) che di settore. In particolare per chiedere alle imprese, a ASSTEL, al Governo:
- una moratoria contro ogni delocalizzazione di attività di customer care e di lavorazioni di back office;
- il rispetto delle Delibere Agcom per noi, nei fatti, svuotate di senso dall’attuale politica degli appalti e dei sub appalti, a partire dalla delibera n. 79/09;
- un intervento di sostegno fiscale straordinario (soprattutto al Sud) mirato ai call center e più in generale alle aziende labour intensive;
- la definizione di un Avviso Comune che riconosca il valore della riconversione professionale dei lavoratori come prima vera tutela occupazionale, che recepisca clausole sociali chiare per l’assegnazione/cambio di appalti salvaguardando i livelli salariali, che sancisca tutele occupazionali minime in caso di cessione, che preveda la costituzione di un Osservatorio nazionale sulle attività in appalto, al fine di seguire le catene produttive in tutte le diverse aziende.
Osservatorio che potrebbe predisporre un Capitolato generale di appalto ”tipo” che si basi su responsabilità in solido delle imprese e parità di trattamenti economici e normativi tra lavoratori in house e lavoratori in appalto. Questo per distinguere tra vere operazioni di “specializzazione produttiva” e mere operazioni di contenimento di costi/licenziamenti.

Tratto da www.slc.cgil.it

domenica 4 aprile 2010

BUONA PASQUA



Luci, colori, musica, uova colorate, giochi, sorrisi, strette di mano,
fiori, colori, viaggi... Tutto rende la Pasqua semplicemente Speciale:

ma la gioia più grande è il pensiero di chi ci sta a cuore
e di chi amiamo di più....

BUONA PASQUA A TUTTI

venerdì 2 aprile 2010

Art. 18: NAPOLITANO NON FIRMA – TROPPI DUBBI SULL’ARBITRATO


ROMA – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha firmato il ddl del governo sul lavoro e ha rimandato il testo alle Camere. Ponendo forti dubbi sulla norma che prevede l’estensione dell’arbitrato nei rapporti di lavoro. Le perplessità riguardano, inoltre, il modo con cui il Parlamento ha legiferato su una materia complessa quale quella del lavoro. “Già altre volte – aggiunge il capo dello Stato – ho sottolineato gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e sulla comprensibilità delle disposizioni e quindi sulla certezza del diritto, sullo svolgimento del procedimento legislativo per l’impossibilità di coinvolgere tutte le commissioni competenti”. Serie perplessità sono state sollevate anche “per una così ampia delegificazione”.

“Il Capo dello Stato è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni, gli articoli 31 e 20, che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale. Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale” si legge nella nota del Quirinale. Che, per la prima volta, dal momento dell’elezione di Napolitano, rinvia una legge alle Camere. Cauta la reazione del governo. “Terremo conto dei rilievi del capo dello Stato – dice il ministro del Welfare

Maurizio Sacconi – proporremmo alcune modifiche che mantengano in ogni caso l’istituto che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato”. In ogni caso, il titolare del dicastero auspica “un sollecito esame parlamentare” sui tre punti indicati dal capo dello Stato.

Le critiche del Colle. I rilievi del Colle si appuntano su una delle norme del ddl Lavoro. Quella che riguarda la nuova procedura di conciliazione e arbitrato che di fatto incide su quanto previsto dall’articolo 18 in materia di licenziamento. In particolare l’articolo indicato nel comunicato del Quirinale prevede che già nel contratto di assunzione, in deroga dai contratti collettivi, si possa stabilire che in caso di contrasto le parti si affidino a un arbitrato. L’articolo 31 modifica profondamente le disposizioni sul tentativo di conciliazione. Per Napolitano “occorre verificare che le disposizioni siano pienamente coerenti con la volontarietà dell’arbitrato e la necessità di assicurare un’adeguata tutela del contraente debole”. Ovvero del lavoratore. Un altro articolo sul quale il Quirinale muove rilievi è il 20, che esclude dalla delega del 1955 sulla sicurezza del lavoro il personale a bordo dei navigli di Stato: una interpretativa che bloccherebbe l’inchiesta della procura di Torino su 142 uomini della Marina Militare morti per esposizione all’amianto e un processo a Padova per la morte, per lo stesso motivo, di altri due militari. Infine il capo dello Stato chiede una riflessione “opportuna” sugli articoli 30, 32 e 50. Napolitano invita a una rilettura anche sulle competenze della magistratura sulle clausole dei contratti di lavoro, i contratti a tempo determinato e la tipizzazione delle clausole di licenziamento, l’entità del risarcimento per le cause di lavoro relative a collaborazioni coordinate e continuate.

Le reazioni. “Napolitano ha sempre mostrato una grande attenzione” alla eterogeneità delle norme e alle coperture finanziarie, è nel suo potere rimandare alle Camere, non ho nulla da obiettare” dice il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Soddisfazione è stata espressa dal Pd (“Speriamo che la maggioranza non sprechi questa occasione offertale dal presidente della Repubblica”, hanno detto i deputati della commissione lavoro di Montecitorio, Marianna Madia e Ivano Miglioli) e dalla Cgil, fortemente critica verso il provvedimento. “E’ una decisione – dice il segretario Guglielmo Epifani – che conferma le considerazioni della Cgil sugli aspetti critici del provvedimento. E’ di tutta evidenza l’intempestività di una dichiarazione comune su una legge nemmeno ancora promulgata né pubblicata sulla Gazzetta ufficiale”. “Finalmente il presidente della Repubblica batte un colpo e rimanda alle Camere la legge che voleva modificare, anzi svuotare lo Statuto dei lavoratori. Ne siamo contenti perché l’Italia dei valori è stato l’unico partito che, a suo tempo, si era permesso di pregare il presidente della Repubblica di non firmare il provvedimento ma di rinviarlo alle Camere” afferma il leader di Idv, Antonio Di Pietro. Per la Cisl, invece l’arbitrato resta uno strumento “utile”, mentre il segretario generale della Uil Luigi Angeletti si augura “che il rinvio alle Camere sia l’occasione utile per rendere coerente il provvedimento legislativo con l’avviso comune realizzato dalle parti”. Sulla stessa lunghezza d’onda Nazzareno Mollicone, segretario confederale dell’Ugl. Pienamente soddisfatti della scelta di Napolitano si dicono i vertici di Rdb (Rappresentanze di base) e Sdl (Sindacato dei lavoratori).

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