venerdì 7 dicembre 2012

Lavoro: l'inganno del reintegro

di Bruno Tinti

L’art. 14 comma 7 del ddl sulla riforma del lavoro (Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) dice: “il giudice che accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sarebbe il licenziamento per motivi economici) applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del medesimo articolo” (il reintegro). E, poco più avanti: “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”. Che consiste nel dichiarare “risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di prensiva” (l’indennizzo).
Tutto ruota intorno a due paroline: “manifesta insussistenza”. Cosa vogliono dire? In linguaggio comune è semplice: il fatto posto alla base del licenziamento non esiste; perciò il lavoratore va reintegrato nel posto di lavoro, poche storie. Ma, per un giurista, l’insussistenza senza aggettivi è cosa diversa dall’insussistenza “manifesta”. Il giurista si chiede: ma perché questi hanno sentito il bisogno di scrivere che l’insussistenza deve essere “manifesta”? Un fatto o sussiste o non sussiste; quanto sia complicato accertare che esista non incide sulla sua esistenza, solo sulla difficoltà della prova. Per capirci meglio, un assassino va condannato sia che lo si becchi con il coltello sanguinante in mano, sia che la sua responsabilità emerga dopo un complicato lavoro di indagine (movente, alibi, testimonianze etc). Dunque, pensa il giurista, questi hanno scritto “manifesta insussistenza” proprio per differenziare questi casi da quelli in cui c’è l’insussistenza semplice; e per differenziare il trattamento conseguente, reintegro nel primo caso, solo indennizzo nel secondo.
Come tecnica legislativa non è una novità. Quando, in un processo, si solleva un’eccezione di illegittimità costituzionale, il giudice la accoglie solo quando la questione non è “manifestamente infondata”. Se è sicuro che la legge è conforme alla Costituzione, respinge l’eccezione. Insomma, solo quando il giudice ha qualche dubbio sulla costituzionalità della legge (o, naturalmente, quando è sicuro che sia incostituzionale), chiede alla Corte costituzionale di valutare. Ne deriva che la Corte non riceve tutte le questioni di illegittimità costituzionale ma solo quelle che i giudici ritengono “non manifestamente” infondate. Può darsi che tra le altre, quelle che il giudice ha respinto (sbagliando), ce ne fossero di fondate; ma la loro fondatezza non era “manifesta”; e quindi…
Tornando all’art. 18, siccome i criteri di interpretazione giuridica delle leggi questi sono (art. 12 del codice civile), ne deriva che il giudice potrà reintegrare il licenziato solo quando, da subito, senza indagini, senza prove, “manifestamente” appunto, è sicuro che il motivo economico non sussiste. Se invece dubita, se per decidere deve acquisire prove, allora niente reintegro. E cosa al suo posto? Ma è chiaro, l’indennizzo.
E infatti Monti-Fornero lo dicono espressamente: “nelle altre ipotesi”, cioè quando l’insussistenza del motivo economico va accertata con una normale istruttoria dibattimentale (prove, testimonianze, perizie), quando dunque non è “manifesta”, di reintegro non se ne parla. Magari alla fine salterà fuori che il motivo economico non c’è; ma, siccome è stato necessario un vero e proprio processo per rendersene conto, niente reintegro, solo un po ’ di soldi.
Da qui derivano tre conseguenze micidiali.
La prima: il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
La seconda: i giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così’”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria. Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
La terza: a seconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.
Ma, a questo punto: davvero Camusso & C, Bersani & C, a tutto questo non ci hanno pensato? O si sono accontentati di una (finta) dimostrazione di forza, del tipo: “Abbiamo costretto il governo etc etc; guardate come siamo bravi”?

Il Fatto Quotidiano, 11 Aprile 2012

martedì 18 maggio 2010

COME E QUANDO ANDARE IN FERIE

Per chi ha ancora dei dubbi sulla normativa delle ferie e sul calcolo dei giorni di vacanza, ecco una guida semplice e completa che ci informa sugli aggiornamenti legislativi, su quanto ammontano i giorni di ferie, com'è possibile calcolarli e cosa succede se ci si ammala durante le ferie.


Come si maturano le ferie
La maturazione delle ferie è strettamente collegata alla effettiva prestazione lavorativa, per cui le stesse maturano in presenza della prestazione lavorativa o di un'assenza che, per legge o per contratto, è considerata servizio effettivo (come, ad esempio, le ferie, la malattia, l'infortunio, il congedo matrimoniale, l'astensione obbligatoria per maternità ed il congedo di paternità, la cassa integrazione guadagni ad orario ridotto, gli incarichi presso i seggi elettorali).Il periodo di maturazione è di dodici mesi, che, secondo quanto previsto dal contratto collettivo e dalla regolamentazione aziendale, corrisponde all'anno civile (1° gennaio - 31 dicembre) o ad un periodo di 12 mesi, di norma, decorrenti dal 1° agosto.Il lavoratore subordinato che non lavora per l'intero periodo di maturazione (contratti a tempo determinato, ovvero assunzione o cessazione del rapporto nel corso del periodo) ha diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionale al servizio effettivamente prestato. A tal fine i singoli contratti di lavoro definiscono le modalità di conteggio dei mesi e delle frazioni di mesi lavorati: di norma, ogni mese di servizio dà diritto ad un dodicesimo del periodo annuale di ferie spettanti e le frazioni di mese di almeno 15 giorni valgono come mese intero.
I lavoratori dipendenti non possono più ricevere un indennizzo sostitutivo per le ferie inderogabili non godute.

Con la nuova normativa il periodo annuale minimo, e irrinunciabile, di ferie retribuite passa da tre a quattro settimane. Se tali ferie non vengono sfruttate, non possono più essere sostituite con un corrispettivo in denaro. Ciò non vale in caso di cessazione del rapporto di lavoro, perché le ferie arretrate vengono saldate nel trattamento di fine rapporto.


La riforma della disciplina dell'orario di lavoro
Generalità: la disciplina vale per tutti i lavoratori a prescindere dalla qualifica e non tiene conto di alcuna eccezione con cui, norme speciali, limitavano la durata del periodo feriale.

Inderogabilità peggiorativa: avendo stabilito un periodo minimo di godimento, non potranno sopravvenire regolamentazioni che impongano un periodo feriale inferiore alle quattro settimane all’anno.
Derogabilità migliorativa: sono esplicitamente previste per i contratti collettivi delle condizioni che migliorino la durata e/o la collocazione nell'anno delle ferie. Naturalmente, nulla impedisce al contratto individuale di alterare in senso migliorativo la disciplina legale delle ferie.


Chi può usufruire di cosa?
Le condizioni favorevoli sono esplicitamente riferite alla contrattazione collettiva, anche se la norma non esclude il contratto individuale dalla possibilità di convenire condizioni migliorative.

In cosa consiste il miglior favore?
Nella maggior durata del periodo di ferie e nella possibilità, in caso di mancato godimento di tale ulteriore periodo, di sostituirlo con un’indennità finanziaria, ovvero un compenso in denaro.
Si viene così a creare un doppio regime regolatorio:
- quello delle ferie legali caratterizzato dalla non sostituibilità, e
- quello delle ferie contrattuali che, oltre a consentire un periodo feriale maggiore, cioé incrementativo del periodo minimo irrinunciabile di quattro settimane, permette anche un'eventuale sostituzione con un indennizzo.
Infine, va osservato che, se il contratto collettivo non dichiara espressamente la sostituibilità con un corrispettivo monetario del periodo feriale aggiuntivo, anche quest’ultimo va considerato insostituibile.


I risarcimenti: ricadute fiscali e previdenziali
Riepilogando, dunque, la nuova disciplina stabilisce che le ferie non godute non potranno più essere indennizzate, ovvero convertite in denaro; il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie di almeno quattro settimane. Tale periodo minimo é irrinunciabile e non sostituibile con la relativa indennità per ferie non godute, fuorché non termini il rapporto di lavoro. Pertanto, al di fuori dell'ipotesi di risoluzione anticipata del rapporto del lavoro, il periodo feriale minimo legale non può essere sostituito da alcuna indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Ma cosa succede se, per qualsiasi motivo non riconducibile alla volontà del datore di lavoro, le ferie obbligatorie non vengono godute? Ebbene, si pone il problema del risarcimento del danno. In tal caso, a partire dal 29 aprile 2003, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo numero 66/2003, si applicano i criteri generali di risarcimento del danno, anche per quel che riguarda l’onere della prova. Spetterà al lavoratore dimostrare l’entità del danno subito, ma essendo quest’ultimo attinente solo alla sfera esistenziale, il lavoratore non potrà ottenere riconoscimento e pagamento dell’indennità sostitutiva per le ferie non godute, ma godrà esclusivamente del risarcimento del danno, nel senso più stretto del termine.
Per quanto riguarda l’aspetto fiscale, secondo l’art.6 D. Lgs. 29 Settembre 1997 n.314, non sono imponibili proventi e indennità ottenute, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento del danno.
Da quanto si è detto sopra, ne consegue che, sul piano previdenziale, gli enti previdenziali non potranno assoggettare a contributi l’indennità sostitutiva delle ferie non godute.


Obbligo di concedere, nel corso dell'anno di maturazione, due settimane consecutive di ferie
Volendo fare il punto sulle nuove regole per la gestione del periodo minimo di quattro settimane di ferie, si possono affermare i seguenti criteri:

- l'obbligo di concedere un periodo di ferie di due settimane nel corso dell'anno di maturazione
La richiesta di tale periodo deve intervenire nel rispetto dei principi dell'art. 2109 del Codice Civile: in assenza di norme contrattuali, la stessa deve essere formulata dal lavoratore tempestivamente in modo che l'imprenditore possa operare il corretto contemperamento tra le esigenze dell'impresa e gli interessi del prestatore di lavoro
- l'obbligo di concedere, nel corso dell'anno di maturazione, due settimane consecutive di ferie, se c'è un'esplicita richiesta dal lavoratore
Anche in questo caso la richiesta del lavoratore deve essere formulata tempestivamente, in modo che l'imprenditore possa operare il corretto contemperamento tra le esigenze dell'impresa e gli interessi del prestatore di lavoro
- la possibilità di fruire il restante periodo minimo di due settimane nei 18 mesi successivi all'anno di maturazione
La contrattazione collettiva, però, può prevedere termini diversi di fruizione, che possono essere anche più brevi rispetto a quelli stabiliti dalla legge. Il contratto dei dirigenti industria, ad esempio, ha allargato il periodo di fruizione a 24 mesi.
Se il contratto collettivo stabilisce termini più brevi, l'eventuale godimento delle ferie oltre tali limiti, se comunque rientranti nei 18 mesi dalla fine dell'anno di maturazione, comporterà per il datore di lavoro un inadempimento contrattuale, ma non una violazione della legge, con conseguente non applicabilità della sanzione.


Ammalarsi in ferie
In passato, i poveri sfortunati costretti a letto durante la villeggiatura perdevano i giorni di ferie che per l’azienda continuavano a essere tali, per cui rientravano al lavoro più stanchi di prima e per giunta, con meno ferie da godere.
Oggi non è più così, perché la Corte Costituzionale permette ai lavoratori di bloccare il corso delle vacanze, visto che queste ultime servono per il recupero delle energie fisiche e psichiche.
La malattia insorta durante le ferie non interrompe “automaticamente” il periodo di riposo concordato con il datore di lavoro, ma, secondo quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza emanata nel ’98, l’interruzione viene valutata caso per caso e in generale le ferie vengono interrotte soltanto se la malattia insorta è incompatibile con la funzione di riposo e di recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, propria delle vacanze.
Sarà il medico a dichiarare se la malattia pregiudica o meno il periodo di vacanza dell’interessato, ma l’Inps indica, in una recente circolare, alcuni degli ostacoli, cosiddetti certi, al godimento delle ferie, quali gli stati febbrili, i ricoveri in ospedale, le ingessature di grandi articolazioni, le malattie gravi di apparati ed organi, ecc...
In tal caso il periodo di riposo viene recuperato in un momento successivo in quanto diritto irrinunciabile per tutti, finalizzato a ritemprare le energie psicofisiche usurate dall’attività lavorativa.
Secondo la legge 53/2000 ripresa dal testo unico sulla maternità e paternità del 2001, anche la malattia di un figlio durante la villeggiatura può pregiudicare le ferie del lavoratore. Tutto ciò solo se il bambino abbia meno di otto anni e sia ricoverato in ospedale, se invece resta a casa o in albergo, la malattia non sospende le ferie.
Il lavoratore ha l’onere di comunicare, entro due giorni dall’inizio della malattia, al datore di lavoro e all’Inps lo stato di malattia insorto. La comunicazione determina, dalla data in cui ne viene a conoscenza il datore di lavoro, l’interruzione del periodo di ferie.
In caso di ricovero vale la certificazione rilasciata dalle Amministrazioni ospedaliere e dalle case di cura. Negli altri casi è valida anche la certificazione rilasciata da un medico.


Se si è in vacanza all’estero vanno seguite particolari formalità.
Negli stati convenzionati con l’Italia o membri della Ue, il lavoratore ammalato è tenuto a rivolgersi all’apposita istituzione estera, entro tre giorni dall’inizio della malattia, presentando un certificato rilasciato dal medico curante e deve successivamente far pervenire all’Inps, oltre che al datore di lavoro, la certificazione sanitaria rilasciata su appositi formulari.
Se invece la malattia insorge in un paese non convenzionato, le cose si complicano un po’, perché sempre entro il termine di due giorni, andrebbe fatta pervenire all’Inps e al datore di lavoro adeguata documentazione sanitaria legalizzata dall’autorità consolare italiana. E, questo non sempre è facile da ottenere.
I lavoratori che hanno diritto all’indennità giornaliera di malattia possono essere sottoposti a controllo anche all’estero.


COSA PREVEDE IL NOSTRO CONTRATTO IN MATERIA DI FERIE (CONTRATTO TLC)

Art. 31 - Ferie
1. I lavoratori maturano per ogni anno di servizio un periodo di ferie con corresponsione della retribuzione, pari a quattro settimane corrispondenti a ventiquattro giorni lavorativi. Ogni settimana di ferie dovrà essere ragguagliata a sei giorni lavorativi. I lavoratori che maturano un’anzianità di servizio oltre dieci anni avranno diritto ad un giorno in più rispetto alla misura di cui al periodo precedente. In caso di distribuzione dell'orario di lavoro su cinque giorni, i giorni lavorativi fruiti come ferie sono computati per 1,2 ciascuno, sia agli effetti del computo del periodo di ferie che agli effetti della retribuzione relativa. I giorni festivi di cui all'art. 28 (Giorni festivi) che ricorrono nel periodo di godimento delle ferie non sono computabili come ferie. Le ferie hanno normalmente carattere continuativo. Nel fissare l’epoca sarà tenuto conto da parte dell’azienda, compatibilmente con le esigenze di servizio , degli eventuali desideri dei lavoratori. Eventuali periodi di chiusure collettive formeranno oggetto di un esame congiunto a livello aziendale ovvero di unità organizzativa interessata con le RSU.


2. Le ferie devono normalmente essere godute nel corso dell’anno di competenza. In ogni caso il periodo feriale deve essere goduto per un periodo non inferiore a due settimane consecutive su richiesta del lavoratore. In caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze produttive, potrà essere concessa la fruizione dei residui di ferie entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello di spettanza.


3. Il lavoratore che durante le ferie sia richiamato in servizio ha diritto al trattamento di trasferta per il solo periodo di viaggio e fruirà dei rimanenti giorni di ferie appena siano cessati i motivi che hanno determinato il richiamo oppure durante un nuovo periodo scelto dall’interessato, ma normalmente entro l’anno.


4. In caso di eccezionali esigenze di servizio che non abbiano reso possibile il godimento delle ferie nel corso dell’anno ovvero in caso di impossibilità derivante da uno stato di malattia o infortunio, le eventuali ferie residue fino alle quattro settimane saranno fruite entro i 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione .


5. L’assegnazione delle ferie dovrà avvenire in modo che nei periodi di maggiore domanda di servizio l’aliquota di personale contemporaneamente in ferie in quelle aree di attività ove si verifichi tale maggiore domanda, risulti contenuta in relazione alle necessità di espletamento del servizio medesimo. A livello aziendale le parti procederanno alla definizione per dette aree del numero massimo dei giorni di ferie concedibili in particolari periodi dell’anno.


6. Al lavoratore che all'epoca delle ferie non ha maturato il diritto all'intero periodo di ferie spetterà per ogni mese di servizio prestato un dodicesimo del periodo feriale di cui al primo comma. La frazione di mese superiore a quindici giorni sarà considerata a questi effetti come mese intero. Nei casi di assenze non valide agli effetti del servizio prestato, o di cessazione del rapporto di lavoro, nei confronti del lavoratore che abbia fruito delle ferie in misura maggiore a quelle spettanti, si provvederà al recupero della retribuzione corrispondente.


7. Il periodo di preavviso non può essere considerato periodo di ferie.


8. La risoluzione per qualsiasi motivo del rapporto di lavoro non provoca la decadenza del diritto alle ferie e, pertanto, in tale caso, al lavoratore spetterà il pagamento delle ferie residue maturate e non fruite.


9. Non possono essere concesse ferie per periodi inferiori alla giornata.


10. Il decorso delle ferie resta interrotto qualora sia sopraggiunta una malattia o un infortunio che abbiano determinato il ricovero in ospedale o in casa di cura ovvero che abbiano effettivamente determinato un pregiudizio al recupero psicofisico regolarmente prescritto della durata di almeno cinque giorni.


11. L’effetto sospensivo si determina a condizione che Il lavoratore assolva tempestivamente agli obblighi di comunicazione, di certificazione e di ogni altro adempimento previsto dalle norme vigenti anche ai fini dell’ espletamento della visita di controllo dello stato di infermità previsti dalla legge e dalle disposizioni contrattuali vigenti. Qualora non sia stato espressamente autorizzato a fruire in prosecuzione del periodo di ferie da recuperare, il lavoratore avrà l’obbligo di presentarsi in servizio al termine del periodo di ferie precedentemente fissato, oppure al termine, se successivo, della malattia o dell’infortunio. In tal caso il lavoratore fruirà successivamente dei periodi di ferie da recuperare.


La disciplina delle ferie
(art.10. D.Lgs.66/2003, come modificato dal D.Lgs.213/2004)

MEMO
Il recente D.Lgs.213/2004 ha introdotto alcune modifiche di rilievo nel D.Lgs.66/2003.
In particolare, per quanto riguarda la disciplina delle ferie, il nuovo testo dell’art.10 del
D.Lgs.66/2003 stabilisce:
il diritto del lavoratore ad un periodo annuale minimo di 4 settimane di ferie;
il diritto alla fruizione di almeno due settimane di ferie nell'anno di maturazione (le due settimane devono essere consecutive, a richiesta del lavoratore);
la possibilità di fruire del restante periodo di due settimane di ferie nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione;
la salvaguardia di quanto previsto in materia dall’art.2109 del codice civile e dalla contrattazione collettiva;
uno specifico sistema di sanzioni amministrative (articolo 18bis, comma 3, D.Lgs.66/2003, introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. f, del D.Lgs.213/2004) in caso di violazione dei predetti vincoli (sono puniti sia la violazione del diritto alla fruizione delle due settimane nell'anno di maturazione, sia il mancato rispetto del periodo massimo di 18 mesi successivi al medesimo anno di maturazione - la sanzione varia da 130 a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione);
il divieto di monetizzazione delle 4 settimane di ferie garantite, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.




giovedì 6 maggio 2010

Almaviva Contact: Intervista all'A.D. Andrea Antonelli



Call center: "100 milioni per garantire il futuro"

Nonostante lo scenario affatto positivo – “l’aumento del costo del lavoro ha impattato sui conti e non è stato possibile recuperare il gap con gli aumenti tariffari”, puntualizza Antonelli – l’azienda ha basi solide per affrontare il futuro con serenità. “Quest’anno raggiungeremo il break even”, annuncia Antonelli. I volumi del business hanno tenuto, nonostante la crisi “che sulle aziende di contact center ha pesato meno che su altri comparti”, puntualizza il manager il quale ci tiene però a sottolineare che il comparto “ha bisogno di essere sostenuto dal governo con interventi di defiscalizzazione”.

Quanto vale la partita?

Basterebbero 100 milioni di euro per garantire i posti di lavoro a tutti e consentire alle aziende di andare avanti. Il conto è presto fatto: il comparto genera quasi un miliardo di euro di business e per alleggerire la situazione al settore servirebbe un 10% in parte dovuto all’Irap. Non si può continuare a ragionare nel breve periodo e non si può pensare che la cassa integrazione rappresenti la soluzione: le aziende di contact center vendono prestazioni, non prodotti, e la prestazione è fatta dal personale. Mandare a casa il personale significa chiudere.

Come si è arrivati a questa situazione?

Le aziende più in difficoltà sono quelle che hanno una ridondanza di personale a fronte di volumi di business in calo: ciascun lavoratore rappresenta per l’azienda un margine fra il 20 e il 25%, quindi ogni lavoratore non attivo comporta una perdita giornaliera dell’80%.

Voi come siete messi?

Per fortuna bene. Fra i nostri clienti ci sono le principali compagnie di Tlc e la crisi non ha impattato sui servizi di telefonia. Certamente rispetto al passato il modello è meno flessibile: gestire lavoratori assunti è più difficile che gestire collaboratori perché non si può modulare la forza lavoro sulla base dei volumi di business.

Nessun problema?

Un problema ce l’abbiamo. E riguarda Alicos, la società che abbiamo acquisito da un mese a seguito della messa in commissariamento da parte di Alitalia: ci sono 7 milioni di euro di crediti congelati.

Come riuscite a fronteggiare la competizione sui prezzi?

Sull’inbound il fenomeno della concorrenza sul prezzo è piuttosto marginale. Certamente c’è da fare i conti con le realtà nascenti che usufruiscono dei contributi per le assunzioni. Ma bisogna anche tenere in conto la professionalità e quindi la qualità dell’offerta: noi non usufruiamo dei contributi ma vantiamo un personale altamente qualificato.

di Mila Fiordalisi

mercoledì 5 maggio 2010

Call Center in outsourcing, soprattutto in Sicilia, si rischia di subire una radicale contrazione dei livelli occupazionali

Spett.li
  • Presidenza del Consiglio dei Ministri Roma
  • Ministro dello Sviluppo Economico Roma
  • AGCOM Centro direzionale, Isola b5,Torre Francesco, 80143 Napoli
  • Presidente Regione Sicilia Palermo
  • Assessore all’Industria Regione Sicilia Palermo
  • Assessore al Lavoro Regione Sicilia Palermo
  • Segreterie Nazionali SLC- FISTEL- UILCOM
  • Segreterie Regionali CGIL-CISL-UIL

Come ben noto, il settore dei call center in outsourcing, soprattutto in Sicilia, rischia di subire una radicale contrazione dei livelli occupazionali In tale settore di attività dopo il processo di stabilizzazione che ha coinvolto in Sicilia,a partire dal 2007, migliaia di lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato, viene impiegata forza lavoro che al momento gestisce uno degli asset più strategici delle imprese, la relazione con il cliente/utente finale , giovani lavoratori per cui spesso tale attività rappresenta l’unica opportunità lavorativa certa soprattutto nel Mezzogiorno d’ Italia.

Purtroppo il momento di difficoltà congiunturale da un lato, come già segnalato dalle Segreterie Nazionali SLC CGIL, FISTEL CISL e UILCOM UIL, e il venire meno degli incentivi previdenziali e fiscali connessi alle stesse stabilizzazioni del 2007/2008, rischia di ripercuotersi mettendo a rischio l’occupazione nel nostro territorio e ciò soprattutto a danno della forza lavoro occupata presso le aziende di più grandi dimensioni e che operano nel rispetto delle regole.

Un altro dei fattori che rischia di far precipitare l’occupazione nel settore è la delocalizzazione verso l’estero determinata dalle politiche delle più grandi committenti che operano nel settore.

Nello specifico segnaliamo che, nonostante la “ new Company” Alitalia abbia fatto vanto della sua presunta italianità , a quanto pare la stessa azienda avrebbe deciso di destinare una grande parte della commessa in precedenza gestita dal call center Alicos di Palermo ad un'altra società che a sua volta si avvarrebbe di un call center ubicato in Albania.

Se tali fatti dovessero trovare conferma, ci troveremmo di fronte ad un ennesimo scippo consumato a danno dell’occupazione nella Regione Sicilia.

Il “salvataggio di Alitalia pesa sulla fiscalità di tutto il Paese” e il lavoro va all’estero con un meccanismo di massimo ribasso; Analoga circostanza riguarda le sei concessionarie del Servizio Telefonico in Italia che oltre a delocalizzare fuori dai paesi europei,procedono anche in Italia con il massimo ribasso, mettendo in strumentale concorrenza le singole Regioni e le iniziative a sostegno dell’occupazione e formazione sul Territorio, determinando un vero effetto domino, con lo spostamento del Lavoro da una Regione all’altra , generando migliaia di disoccupati frutto di vere e proprie speculazioni finanziarie , indirettamente a sostegno dei profitti delle aziende committenti titolari delle pubbliche Licenze nella Telecomunicazioni.

Vi chiediamo, pertanto, di intervenire risolutamente per quanto di Vs.competenza per far si che venga fatta luce su tale incredibile vertenza. Se della italianità se ne vuol fare una bandiera la Sicilia non può essere considerata cosa diversa rispetto al resto d’Italia.
Le Segreterie Regionali
SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM –UIL

domenica 11 aprile 2010

IL CLIENTE DEI CALL CENTER SPIATO DALLE COMPAGIE




Seat e Vodafone registrano le chiamate. Le aziende rassicurano: "Lo facciamo solo per migliorare la qualità del servizio". Il sindacato: "Una scelta che va contro lo statuto dei lavoratori e la tutela della privacy"


Non bastavano le telecamere piazzate un po' ovunque a mettere a rischio la privacy delle persone. Ora anche i principali call center si mettono a registrare le telefonate dei loro clienti. E si tratta di numeri che si usano ogni giorno, dal 190, il servizio della Vodafone, all'89.24.24 e al 12.40 della Seat, società che ha già schiacciato il tasto "Rec" per memorizzare e conservare le chiamate. Se altre compagnie telefoniche dovessero imboccare la stessa strada i contact center diventeranno delle mega centrali di ascolto, intercettando lavoratori e clienti. Già ora il bacino potenziale si aggirerebbe intorno ai 25 milioni di persone.

A sollevare la questione la Slc-Cgil di Torino che ha già scritto una lettera alla ProntoSeat per intimare lo stop alle registrazioni audio. Il tutto senza chiedere autorizzazioni e senza garantire l'anonimato a dipendenti e clienti. "Una scelta che va contro lo statuto dei lavoratori, perché si controlla a distanza l'attività degli operatori. In più abbiamo molti dubbi sul fronte della privacy", dice Tony Corona della Slc. Diverse le perplessità del sindacato di categoria. Perché si deve conservare un nastro o un file mp3 dove una persona qualunque, telefonando all'89.24.24 o al 12.40, chiede un numero di telefono di un altro, oppure l'indirizzo di un locale o di una via? "E perché, ad esempio, deve rimanere la traccia di un cliente che, per diverse ragioni, non è riuscito a pagare la bolletta del telefono, spiegandone magari le ragioni", aggiunge Renato Rabellino, funzionario della Slc-Cgil che ha ricevuto dalle aziende fornitrici di Vodafone, come la E-Care e la Comdata di Torino, la richiesta di registrare le telefonate al 190.

L'azienda da tutte le rassicurazioni del caso, dal taglio dei primi secondi della chiamata, che dovrebbe essere criptata, per evitare che si capisca il nome del cliente e del lavoratore, con tetti fissati: registrare il 25 per cento delle telefonate trimestrali, ascoltare il 6 per cento.

Il tutto avverrebbe a sorpresa per l'operatore e con un generico avviso, che si può già ascoltare digitando il 190 di Vodafone, per chi chiama. Obiettivo dell'azienda? Migliorare la qualità. "Non siamo convinti - sottolinea Rabellino - se è tutto anonimo come si fa ad intervenire sui lavoratori? Ci sarà sicuramente qualche sistema. E poi chi ascolta le telefonate? E per quanto tempo rimangono in memoria? E come si fa a garantire veramente che non si sia rintracciati? Una persona può ripetere il proprio cognome all'inizio o alla fine. Insomma, sono molte le questioni da chiarire e non riguardano solo i dipendenti". La E-Care, tramite Confindustria, si è rivolta anche al ministero del Lavoro, ponendo il caso e chiedendo se la registrazione e legittima o meno. E il ministero di Scajola ha dato via libera, a patto che si rispetti l'anonimato: "Siamo al paradosso - aggiunge Rabellino - un governo che ha fatto della battaglia alle intercettazioni una sua bandiera, ora acconsente a registrare le chiamate di milioni di italiani".

Il segretario generale nazionale della Slc-Cgil Emilio Miceli si vuole rivolgere al garante Francesco Pizzetti: "Questa non è materia che deve essere trattata solo dai sindacati - sottolinea - riguarda milioni di persone che non devono essere registrate per ragioni di marketing o di qualità. Meglio fermare la musica e investire della questione il garante della privacy. Autorità indipendente che può dire con chiarezza quali sono i limiti".

Fonte: Repubblica sez. Torino - 29 marzo 2010